nacqui senza saperlo, fui sbattuto in questo laido mondo senza che nessuno mi chiedesse il consenso, scritto o orale che fosse. O mi domandasse:
ehi, gamete, ti va di nascere?
Chiesi ai miei del perché di quella loro decisione che coinvolse così pesantemente anche me. Mi risposero:
“Mo' non ti va bene manco questo?”
“No, no, sono davvero felice di esser nato. Però la prossima volta avvertitemi, mi fareste l'uomo più felice del mondo”.
“E' difficile, Gianluca, esser genitori. Si sbaglia, si sbaglia spesso. Si è costretti a prender delle decisioni che coinvolgono altre vite, innocenti vite, ma così è. Mettere al mondo un figlio è un atto di coraggio che non tutti comprendono sino in fondo. E poi preservarlo, farlo crescere, insegnargli la retta via, ma poi lasciarlo comunque libero di scegliere la sua strada poiché è sua la vita. È tua la vita, non nostra, e quel che a noi è parso giusto potrebbe non esserlo per te. Il nostro compito è quello di svezzarti, poi dovrai imparare a camminare da solo, senza paure, ma consapevole del percorso che hai intrapreso. Cadrai spesso, ti farai male, tanto male, lenirai le ferite con le tue lacrime, ma dovrai sempre risollevarti anche quando sarai talmente debole da non farcela più. Ora vai per la tua via, abbandona la nostra, e non voltarti più. Guarda avanti a te, occhio agli ostacoli che incontrerai, e non aver rimpianti. Non esistono gli errori, esistono le scelte. Fai le tue e sii sempre orgoglioso di te stesso. Àmati come noi ti abbiamo amato anche se, talvolta, non te lo abbiamo dimostrato. Saremo sempre orgogliosi di te, sei il nostro figlio, ti abbiamo voluto noi e, come allora ti abbiamo dato la vita, ora ti diamo il dono più grande che un uomo possa desiderare: la libertà”.
Confuso, ringraziai e me ne andai caracollando sulle mie incerte gambe. Caddi subito, mi rialzai, ma poi caddi ancora, e ancora, e ancora. Mi feci male, a volte molto di più. Mi voltai indietro con le lacrime agli occhi, chiamai disperato mia madre, poi con rabbia mi rialzai e imposi a me stesso che era giunto il momento di imparare a camminare da solo. Continuo a cadere, sento ancora il dolore, meno forte di prima, e comunque mi rialzo sempre. I miei occhi guardano sempre davanti, la mia mente torna spesso indietro e si culla nei ricordi della mia fanciullezza, spulciando lì in mezzo qualche spunto della mia reale essenza da sostituire all'io che sono diventato.
Nessun commento:
Posta un commento