Se uno muore non importa a nessuno, purché sia sconosciuto e lontano
Qualcuno andò perché la conosceva. Di vista.
Qualche altro perché andavano tutti.
Un tizio piangeva perché vedeva gli altri farlo.
Un altro era in disparte, ed osservava con fare distaccato e con un velo di tristezza sul volto.
La bambina piangeva perché vedeva la madre piangere e soffriva per lei. Che a sua volta piangeva per non fare brutta figura: erano in troppi a farlo per non farlo anch’ella.
Un uomo s’era messo la cravatta delle grandi occasioni. Quelle che capitano poche volte nella vita. Per fortuna!
Un intervenuto piangeva perché non riusciva a trattenere le lacrime davanti al dolore dei giovani figli.
Qualchedun’altro pensava che tra meno di mezzora avrebbe dovuto far ritorno in ufficio; che palle. Sperava che il sacerdote si dilungasse in chiacchiere inutili per prorogare la lontananza dal lavoro.
Una donna si commosse ascoltando le parole del prete: davvero toccanti.
Una ragazza sedette nelle prime file perché tutti potessero sentirla singhiozzare. Mossa vincente: la sentirono tutti forte e chiaro.
Lui invece non andò, aveva delle scadenze improrogabili. Al lavoro non si comanda. Manderà un telegramma. O li incontrerà per strada dimostrando tutto il suo disappunto per la prematura scomparsa della cara donna.
Una sorella era disperata; mai aveva provato tanto dolore in vita sua. I suoi occhi erano due laghi senza fondo. Come il suo infinito dolore. E mentre una voce sommessa dal pulpito raggiungeva la platea, nella sua mente correvano ricordi di bambina. E il suo pianto sembrava non avere più fine.
L'altra sorella aveva una lacrima che le bagnava le gote. Sembrava disegnata. Come quel ritratto, lì, vicino al letto di morte. Il suo sguardo era assente. Pensava al suo Dio, cui fermamente credeva, e gli chiedeva il perché di una morte tanto assurda, tanto dolorosa, tanto ingiusta. La sua fede era profonda, ma rivolgendosi alla sua Luce chiedeva luce, e stavolta non le bastava la fede. Troppo buio attorno a lei.
La mamma piangeva come tante volte le era capitato in passato per i tanti morti che avevano funestato la sua esistenza. Quello era però un dolore troppo grande cui farsi carico. Ricordi, ricordi e ancora ricordi di una figlia fredda dentro una bara sigillata. Nessun pensiero al Dio che tanto amava, solo il nero morte nella sua mente.
I figli piangevano, la loro memoria tornava al passato quando quella voce che ora più non c’era riempiva la loro solitudine. Che ora tornava prepotentemente a farsi strada dentro di loro. La loro mamma li aveva abbandonati per sempre, e una mamma non puoi sostituirla con niente e nessuno. Il loro dolore silenzioso era rotto da qualche singhiozzo incontrollato, mentre il cuore si chiedeva perché; senza ottenere risposta alcuna.
Il marito. Unico depositario del triste segreto per tre lunghi anni, tutto dentro, si era fatto carico dell’intero dolore per darne una goccia alla volta a figli e parenti. Ma lui sapeva tutto. Aveva provato a rendere più lunga l’esistenza della moglie. Si era accollato il fardello della casa. Dei figli. Della moglie. Dei rimproveri. In silenzio. I suoi occhi erano gonfi, di tanto in tanto grossi lacrimoni scendevano sul suo viso e finivano la loro corsa nel freddo pavimento della chiesa. Gelido come quel corpo che un’ora prima aveva baciato per l’ultima volta. Le gambe gli tremarono quando la funzione terminò.
La bara fu issata sulle spalle di quattro robusti ragazzi ed infilata nel carro funebre.
Salirono in auto e seguirono il carro, direzione cimitero. Nessuna parola. Qualche singhiozzo soffocato. Un pianto sommesso. Tanti bigi pensieri, ciascuno i propri.
“Dovrebbero prendere tutti esempio da questa famiglia, dalla loro grande unione, più unica che rara al giorno d’oggi”.
Le parole del parroco rimbombano ancora nella mia testa. Una famiglia unita. Nel dolore. Nella sofferenza. Nella gioia. Da quel dì di un mese e mezzo fa qualcosa non c’è più. Qualcuno. Una persona. Una voce. Una risata. Sento ancora la sua voce roca che mi domanda se sono ancora innamorato di quella lì e se soffro ancora per lei.
L'avevo definita una partita a scacchi, ricordi?
“Si zia, ma non ha tanta importanza davanti a un feretro che marcisce sotto terra”
La sua risata scoppia fragorosa e mi travolge, rendendomi felice. Massì, che vuoi che sia, la morte? Però manca, cazzo se manca! Lei non è più qui. Sento un altro scoppio di risa rimbombare in tutte le pareti del mio cervello. Sa di tutti i profumi del mondo, m'illumina di tutti i colori e mi riconcilia con la vita. È lei, non mi sbaglio. Rido anch'io, di vera gioia, mi sento felicemente trasportato al punto da credere davvero che nessuno muore nel cuore di chi resta.
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